IL TAR RIGETTA IL RICORSO DEGLI PSICOLOGI, MA GLI SCHELETRI NELL’ARMADIO SONO PREOCCUPANTI

Cari colleghi e cari tutti,

come molti di noi hanno avuto modo di apprendere, con la sentenza pubblicata il 5 giugno 2024, il TAR Lazio ha rigettato il ricorso mosso dagli psicologi contro il nuovo Codice Deontologico e contro le procedure con le quali si è svolto il Referendum. L’ordine prontamente ha inoltrato la newsletter per annunciare la vittoria1: “Codice deontologico: corretto l’operato del CNOP, il TAR respinge le contestazioni”. “Il Tribunale conferma con questa sentenza la legittimità delle scelte fatte dal CNOP”.

Se vogliamo parlare di LEGITTIMAZIONE, quella che noi psicologi vediamo è una legittimazione delle azioni e delle scelte dell’ordine, a prescindere dalla loro legittimità. In altre parole, potremmo dire, la legittimazione di un potere che è stato esercitato senza aver coinvolto adeguatamente gli iscritti e contro le istanze di molti di questi. La legittimazione di una prassi decisa dalle istituzioni, che non guarda in faccia alcuna contestazione. La legittimazione della menzogna. E vedremo qui di seguito quali sono le menzogne o forse le gravi sviste che drammaticamente ci troviamo a raccogliere con questa sentenza.

Ci chiediamo intanto: quale VITTORIA? Che cos’è che ha realmente vinto, ancora una volta? A voi le risposte. Noi osserviamo il continuo dipanarsi di un filo rosso, lungo una direzione che prosegue imperterrita e che anche questa volta non si è contraddetta. In questi anni, quanti ricorsi abbiamo già visto cadere nel nulla o essere stati rigettati? ..seppur si trattasse di ricorsi con contenuti che rendevano evidenza della gravità inaudita di certe realtà. Di fronte a questa modalità seriale di rigetto dei ricorsi, a pensar male, si potrebbe arrivare a presumere che il rigetto non sia tanto dovuto ai motivi coi quali è stato mosso un ricorso, quanto al fatto stesso di aver mosso un dissenso, una contestazione.

L’ordine nella sua newsletter parla di “coinvolgimento della Comunità professionale, per un aggiornamento partecipato e condiviso del nostro Codice”: quale COINVOLGIMENTO? Ricordiamo che è andato a votare solo il 12% degli iscritti con 16.909 voti, su un numero totale di 131.584 iscritti2.

L’ordine afferma che con l’approvazione del nuovo Codice Deontologico si và a “rafforzare, in tal modo, l’identità della figura professionale, equiparata alle professioni sanitarie”: che curioso ossimoro, il fatto di rafforzare la nostra identità professionale equiparandola ad altre identità. È proprio perché siamo psicologi e perché abbiamo una nostra identità che non possiamo essere equiparati alla professione medica, per esempio. Questo è stato uno dei motivi per cui molti psicologi hanno contestato il nuovo Codice Deontologico, che spinge all’obbedienza a linee guida discusse e condivise dall’incontestabile comunità scientifica internazionale, una e una soltanto, come un blocco monolitico che appare più come espressione di un potere unico, che di un approccio seriamente scientifico. La nostra professione si fa di relazione, rispecchiamento, sintonizzazione, intuizione, oltre che di metodo. Se c’è un modo per far venir meno l’identità dello psicologo è proprio il fatto di delegare buona parte del suo operato a protocolli rigidamente orientati, scordandosi del fatto che il primo strumento è lo psicologo stesso, prima ancora del protocollo.

Alla luce delle modifiche al Codice Deontologico e della distanza siderale che si è creata tra l’ordine e i propri iscritti, risulta preoccupante che questo percorso di revisione del Codice non si concluda affatto qua, ma che prosegua “con un’azione progressiva di riflessione e confronto per l’adeguamento dinamico del Codice” afferma l’ordine. La riflessione e il confronto di cui parla, risultano parole svuotate di significato, se restiamo in contatto con i dati di realtà.

Il TAR ha si rigettato il ricorso, ma non ha chiarito e motivato adeguatamente le contestazioni proposte dagli psicologi.

I ricorrenti infatti avevano rilevato come il procedimento del Referendum fosse stato viziato sin dal principio: il documento amministrativo, ossia la delibera di indizione (sulla base della quale sono state operate le deroghe che hanno consentito lo svolgimento delle votazioni in un brevissimo arco temporale, ove in soli 5 giorni più di 130.000 psicologi avrebbero dovuto esprimere il voto, venendo utilizzata la sola modalità telematica)era comparsa sul sito del CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) solo a seguito dell’instaurazione del ricorso al TAR, tant’è che i ricorrenti erano stati inizialmente costretti ad impugnarla “al buio”. Di tale delibera non è possibile stabilire una data certa, come dimostrato dai ricorrenti e non contestato dal TAR. Pertanto, per i ricorrenti, tale documento non risultava idoneo a fungere “da documento probatorio della regolare indizione del Referendum”, proprio per le sue specifiche caratteristiche (QUARTO MOTIVO DI RICORSO).

E’ opportuno fare un passo indietro, specificando come diversi psicologi avessero richiesto l’accesso agli atti della suddetta delibera, prima dell’avvio del Referendum, senza ottenere dal CNOP i dovuti riscontri. E’ questo il concetto di TRASPARENZA del CNOP?

Tale fondamentale contestazione dei ricorrenti è così in sentenza affrontata: “Quanto alla questione del disconoscimento della delibera di indizione (..) si osserva come nessuna specifica difformità viene rilevata rispetto ad un altro ipotetico documento originale [dal CNOP però non depositato]” e in riferimento alla censura dei ricorrenti “anche fosse vera in ipotesi, non sarebbe comunque sufficiente ad inficiare la veridicità di quanto in quel documento rappresentato [senza fornire nessuna motivazione e a prescindere dal deposito del documento originale].

VEDIAMO ORA GLI ALTRI MOTIVI DI RICORSO:

PRIMO MOTIVO DI RICORSO: i ricorrenti deducono che nessuno di essi avrebbe “mai ricevuto una comunicazione formale, ma neppure informale, di convocazione per il Referendum di approvazione del Nuovo Codice deontologico”. Il TAR smentisce tale censura affermando che la quasi totalità degli iscritti avrebbe ricevuto correttamente la newsletter nella propria casella di posta elettronica. Ma, in realtà, è il TAR stesso a certificare il cattivo operato del CNOP il quale, anche nel caso in cui avesse informato via newsletter 110.000 iscritti, essendo gli psicologi italiani 131.000, avrebbe lasciato fuori da qualunque informazione ben 21.000 iscritti: un totale superiore addirittura al numero dei votanti al Referendum, ovvero 16.909.

Ricordiamo che la nostra Legge istitutiva prevede al suo interno un Referendum per modificare il Codice Deontologico – grazie al suo relatore Adriano Ossicini – il che implica la chiara prescrizione prevista dalla legge di informare tutti gli psicologi, non solo alcuni ma tutti, affinché possano esprimere il proprio diritto di voto. Inoltre, riflettiamo sul fatto che come psicologi abbiamo l’obbligo di avere una PEC (casella di posta elettronica certificata), altrimenti veniamo sospesi; è paradossale che questa PEC non venga utilizzata per le comunicazioni importanti come un Referendum per modificare il Codice Deontologico.

L’insufficiente coinvolgimento della comunità di psicologi, circa il Referendum, lo si può osservare, del resto, dalle bassissime percentuali di voto: ha votato solo circa il 12% degli iscritti, con uno scarto di soli 1417 voti tra i SI e i NO. Ricordiamo che circa l’87% degli iscritti non ha votato! Ciò, lo ribadiamo, è accaduto anche perché gli iscritti non informati non hanno potuto esprimere il loro diritto di voto. La carenza di informativa (che non può neppure essere assolta da un convegno che affrontava altre tematiche principali3) unitariamente al mancato invio di PEC, hanno pertanto limitato o impedito il diritto di voto di diversi psicologi.

RISPETTO AL CONTESTATO UTILIZZO DELLA MODALITA’ ESCLUSIVA DI VOTO ONLINE, il TAR afferma, tra le varie, che la costituzione di un seggio fisico per ciascuna regione avrebbe avuto dei costi spropositati. Qui però la questione attiene a diritti fondamentali e cioè il diritto di voto, che si ritrova ad essere particolarmente compresso: la modalità telematica (che ha consentito di ridurre l’arco temporale delle votazioni a pochi giorni) e la carenza di informativa hanno avuto un peso importante nel determinare le percentuali di cui sopra.

RISPETTO AL SECONDO E TERZO MOTIVO DI RICORSO, “a mezzo dei quali si contesta la premessa etica e i principi etici inseriti nel nuovo Codice deontologico, che costituisce il cuore della controversia, su cui si incentra l’interesse sostanziale dei ricorrenti” (queste le parole esatte riportate in sentenza), il TAR se ne tira fuori, lasciando da un lato cadere nel nulla le contestazioni dei ricorrenti, attraverso frasi quali:

il Collegio ritiene doveroso premettere i limiti del sindacato consentito al giudice sulle opzioni assiologiche espresse dall’amministrazione o ente pubblico, che valgono, a maggior ragione, nel caso in cui si tratta di un ente esponenziale di autonomie professionali, che è chiamato ad esprimere la volontà degli iscritti, in cui il rapporto Amministrazione/Amministrativi non si configura secondo una relazione verticale, gerarchico-autoritativa, bensì secondo il modello orizzontale che caratterizza le relazioni tra gli iscritti e l’Ordine che li rappresenta”.

il giudice (…) non può invadere gli spazi decisionali riservati all’ente”

il giudice non può spingersi a censurare nel merito l’adesione ad una delle diverse opzioni possibile, perché in tal modo si sostituirebbe al soggetto cui l’ordinamento giuridico ha attribuito tale potere di scelta, finirebbe per imporre i propri criteri di valore a quelli espressi dall’ente pubblico, invadendo le sfere di autonomia a questi riservate”.

Ecco: i ricorrenti si sono rivolti al TAR proprio perché questo ente di autonomie professionali, quale l’ordine, ha disatteso il modello orizzontale che dovrebbe caratterizzare la relazione con i propri iscritti. Al contrario di quanto affermato dal TAR, la relazione tra l’ordine e i propri iscritti risulta particolarmente verticalizzata e gerarchico-autoritativa, alla luce, per esempio, dell’imposizione di una premessa etica e di ciò che comporta per gli iscritti. Se da un lato l’ordine si fa esecutore di tali imposizioni, dall’altro lato risulta tutt’altro che autonomo, ubbidendo a direttive europee provenienti dall’EFPA4.

In questi anni, come professionisti, abbiamo avuto più volte l’impressione di essere di fronte, da un lato, a una de-responsabilizzazione disarmante da parte delle istituzioni che sono venute assai meno all’esercizio della propria autonomia (ci riferiamo per esempio all’ordine), attraverso risposte come: non possiamo farci niente, dobbiamo eseguire, non dipende da noi. Mentre, dall’altro lato, abbiamo assistito agli effetti collaterali di questa loro de-responsabilizzazione: l’abuso di potere sui propri iscritti/sui cittadini. Ciò che è mancato sono stati gli organi competenti, ancor prima del confronto con questi. È mancata la presenza dei diretti responsabili a cui rivolgersi, nel momento in cui c’era da chiedere conto delle ricadute drammatiche dovute a determinate e deliberate scelte politiche.

Pertanto, il fatto che il TAR ritenga di non essere l’organo competente a entrare nel merito delle questioni cardine della sentenza, non risulta essere purtroppo una novità, di questi tempi. Ci chiediamo allora a quale istituzione rivolgersi per trovare ascolto. Esiste un organo competente che sappia esaminare punto per punto, con logica e dati di realtà alla mano, le contestazioni dei ricorrenti lasciate senza risposta?

Proseguendo, se da un lato si afferma che il giudice non può spingersi a censurare nel merito, in quanto finirebbe per imporre i propri criteri di valore a quelli espressi dall’ente pubblico [l’ordine], invadendo le sfere di autonomia a questi riservate” [queste le parole esatte nella sentenza], dall’altro lato, poco dopo, viene esplicitata invece la piena adesione a quanto espresso dall’ordine, proprio sulle questioni di merito a quanto pare; leggiamo infatti: “il Collegio ritiene che non siano ravvisabili quelle violazioni dei principi fondanti denunciabili in questa sede, osservando come tali contenuti e principi (tra cui il rispetto e promozione dei diritti e della dignità della persona, competenza, responsabilità, onestà, integrità, lealtà e trasparenza), appaiono tutti riconducibili direttamente alla Costituzione, oltre a rispondere al principio cardine di qualsiasi ricercatore e professionista a fondare le proprie ricerche e la propria pratica professionale su conoscenze scientifiche specifiche, discusse e condivise dalla comunità scientifica internazionale e nazionale. A quest’ultimo riguardo non si può seguire la prospettazione di parte ricorrente, ove, nel terzo motivo, lamenta che si tratterebbe di indicazioni vaghe e generiche, trattandosi, piuttosto, di rinvio del Codice a conoscenze tecniche che costituiscono il corpo della disciplina secondo la Comunità scientifica di riferimento”. Forse il TAR ci sà anche indicare quali siano queste conoscenze tecniche che costituiscono il corpo della disciplina secondo la Comunità scientifica di riferimento?

Andando avanti nel dettato, sembrerebbe partire bene il passo della sentenza dove si afferma: l’operato della resistente risulta immune dalle doglianze dedotte con il terzo e quarto mezzo di gravame, con cui si invoca la libertà dell’arte e di pensiero tutelata dall’art. 33 cost, limitando le competenze dello psicologo, che verrebbe sottoposto “ad una sorta di standardizzazione e/o omologazione della sua prestazione”, con rischio di “una seria erosione dell’identità professionale dello psicologo”. Ma questo incipit rassicurante in merito alla salvaguardia della nostra identità professionale, scivola in un drammatico ossimoro, con quanto riportato poco dopo: “A tale riguardo il Collegio ritiene opportuno precisare, senza timore di invadere sfere riservate di valutazione, che, nello scontro di opposti valori, tra le esigenze di libertà di pensiero e di azione del professionista (invocate dai ricorrenti), e le esigenze di tutela della persona affidata alle sue cure (tutelata anch’essa dalla Costituzione come bene primario), occorra far premio di queste, riconoscendo che sono maggiormente protette dall’adesione a correnti scientifiche condivise, come già avviene nelle professioni mediche. Ed ecco che il sollecito all’ubbidienza a correnti scientifiche condivise, come già avviene nelle professioni mediche, si fa esplicito (in barba alla nostra identità professionale, alla libertà di cura e al significato profondo della cura psicologica – cura: questa sconosciuta all’interno del nuovo articolato del Codice Deontologico). Il dettato prosegue con: “e ciò vale, a maggior ragione, nel delicato momento della “istituzionalizzazione” della professione dello psicologo, a tutela dello stesso interesse della categoria professionale”.

Il TAR non pare avere alcun problema a pronunciarsi sostenendo che “l’identità professionale [dello psicologo] equiparata alle professioni sanitarie ne uscirà rafforzata” ignorando il complesso e lunghissimo processo che la psicologia ha dovuto affrontare per rendersi autonoma rispetto alla medicina, ignorando la realtà professionale degli iscritti, vincolando la professione a linee guida -che non esistono in psicologia allo stesso modo che in medicina-, subordinando la nostra professione a quella medica nel tentativo di standardizzare terapie psicologiche che non sono invece standardizzabili ed in danno ai nostri pazienti e utenti.

Un altro dei passi sconvolgenti della sentenza è il fatto che il TAR affermi che i ricorrenti assumono erroneamente essere stati esclusi dalla votazione della premessa etica, contraddicendo addirittura quanto sempre affermato dall’ordine stesso, ossia che la premessa etica non è votabile. Infatti, la contestazione degli iscritti riguarda il fatto che tale scelta dell’ordine non sia prevista dalla legge: il Codice Deontologico deve essere votabile tramite Referendum, questo dice la legge. Inoltre gli psicologi sono vincolati al codice e non ad altre premesse etiche. Qui invece vengono vincolati ad una premessa etica neppure votabile, la quale si compone anche di estratti dei vecchi articoli del Codice Deontologico (che sono stati eliminati dagli articoli del nuovo Codice, per poi essere inseriti e rielaborati all’interno di questa premessa etica). La questione, come altre, resta aperta e drammaticamente senza risposta.

Disarmante, ancora, è uno dei passi finali del dettato, che recita: Né può contestarsi l’autenticazione dei votanti tramite SPID e/o CIE, trattandosi di sistemi di accesso riconosciuti e obbligatori per tutti i servizi offerti al cittadino dalla pubblica amministrazione. Un modo facile per mettere a tacere ogni contestazione, della serie: ora si fa così, punto.

Ricordiamo che questa è la prima volta, nella storia dell’ordine, che agli iscritti è consentito di votare in modalità esclusivamente online per un Referendum previsto per legge. Inoltre, fino a pochi giorni prima dell’inizio del Referendum, si poteva entrare comodamente nella propria area riservata senza SPID o CIE, mentre durante il Referendum non più (dovendo appunto entrare con SPID o CIE per poter votare).

In conclusione, come professionisti siamo certi di poter affermare che questo nuovo Codice Deontologico non ci rappresenta.

A questo link si può leggere la sentenza completa: https://www.psy.it/wp-content/uploads/2024/06/sentenza-Tar-copia-codice.pdf

DONA PER SOSTENERE LE SPESE LEGALI DEL RICORSO DEGLI PSICOLOGI: in risposta alla sentenza di cui abbiamo trattato sopra, i ricorrenti hanno scelto di andare avanti, con il sostegno di tanti altri colleghi. Quindi il prossimo passo sarà andare al Consiglio di Stato. Questa azione è fondamentale; il nuovo testo del codice deontologico altera profondamente la professione dello psicologo, in danno agli utenti. È stata attivata una raccolta fondi per sostenere le spese di questa importante azione legale. Potete donare accedendo a questo link. Grazie: https://www.gofundme.com/f/2fd5ng-consiglio-di-stato-codice-deontologico-psicologi?attribution_id=sl:556c5afc-a298-42dc-bb3c-36cd9113c676&utm_campaign=man_sharesheet_dash&utm_medium=customer&utm_source=whatsapp

Bibliografia

1 https://www.psy.it/codice-deontologico-corretto-loperato-del-cnop-il-tar-respinge-le-contestazioni/

2 https://www.ilnocheunisce.it/2023/10/01/mondo-interno-e-realta-esterna-bis/

3 nella sentenza si fa riferimento al Convegno degli Stati Generali della Psicologia

4 https://www.efpa.eu/

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